Onorevoli Colleghi! - Nonostante il costante ed encomiabile impegno delle Forze di polizia nell'azione di contrasto alla criminalità, il numero dei reati nel nostro Paese continua ad essere assai elevato.
      I reati contro il patrimonio, in particolare, raggiungono cifre impressionanti. Ogni anno in Italia vengono commessi circa un milione e mezzo di furti e cinquantamila rapine. Questi i numeri dei delitti denunciati, cui bisogna aggiungere il numero dei delitti che le vittime non denunciano, e che pertanto è ignoto, ma sicuramente anch'esso assai elevato.
      Questa situazione, come si può agevolmente intuire, ingenera nei cittadini una sensazione di sfiducia nelle istituzioni, inducendo spesso una percezione di insicurezza perfino superiore alla reale situazione di pericolosità dell'ambiente in cui si vive.
      Per individuare nuove soluzioni che consentano di migliorare questo stato di cose, occorre riflettere sul fatto che il compimento dei reati è quasi sempre inconsapevolmente agevolato dal comportamento stesso delle vittime, che non pongono in essere quei comportamenti cautelativi che sarebbero in grado di prevenire l'azione delittuosa o quanto meno di minimizzarne gli effetti.
      È dunque giunto il momento di introdurre anche in Italia, come già fatto in altri Paesi europei, una legislazione che comporti una collaborazione attiva da parte dei privati nell'azione di contrasto alla criminalità.
      Nel 1994 il decreto legislativo n. 626 stabilì le misure che devono essere attuate per salvaguardare la salute dei lavoratori.
      Nessuna norma specifica esiste invece per la tutela dei lavoratori dalle azioni criminose, ad esclusione dell'articolo 2087 del codice civile, che recita: «L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la

 

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tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».
      Ma il compimento di un furto o di una rapina coinvolge non solo i lavoratori dipendenti. Anche i clienti che si recano in una banca, in un ufficio postale, in una tabaccheria, in una farmacia, possono rimanere coinvolti loro malgrado in eventi delittuosi, così come i titolari degli esercizi commerciali. Talvolta questi fatti degenerano e il delitto contro il patrimonio diventa un vero e proprio delitto contro la persona.
      Neppure le private abitazioni sfuggono all'attacco della delinquenza, in special modo quelle più isolate o quelle presso le quali i banditi presumono di poter asportare oggetti di maggior valore.
      Pur essendo in capo allo Stato il dovere primario di garantire la sicurezza dei cittadini, è da sottolineare che il compimento di un furto, di una rapina o, peggio, il ferimento o l'uccisione di chiunque non sono eventi che riguardano solo le vittime del delitto: sono eventi che hanno rilevanza sociale sia sotto il profilo patrimoniale sia, soprattutto, sotto il profilo dell'ordine e della sicurezza pubblici.
      Ecco perché nessuno deve agevolare, seppur inconsapevolmente, il compimento di un delitto, neppure contro se medesimo, ma, al contrario, deve essere introdotto il principio giuridico opposto, e cioè che ognuno deve proteggere i propri beni e la propria persona in modo da rendere meno agevole il compimento dei delitti.
      Allo sviluppo di tale principio giuridico è dedicato il capo II della presente proposta di legge (attività di sicurezza svolte da privati in favore proprio).
      Il capo III tratta invece delle attività di sicurezza svolte da privati in favore di terzi.
      È qui inserita la nuova normativa relativa alla vigilanza privata. Si tratta di materia che trova ancora la sua regolamentazione nel testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1931 e che nelle passate legislature non ha ricevuto modifica alcuna nonostante gli innumerevoli progetti di legge presentati al riguardo.
      Non appare più prorogabile l'esigenza di adeguare tale normativa, avuto presente il radicale mutamento dei contesto sociale tra il 1931 e oggi.
      Le nuove norme tendono a professionalizzare maggiormente, e quindi anche a tutelare, i lavoratori di questo settore, introducendo la figura dell'«agente di sicurezza» in luogo della guardia particolare giurata di vecchia memoria.
      A tali figure, che possono svolgere la propria attività unicamente alle dipendenze di un istituto privato di vigilanza, vengono per la prima volta in Italia riconosciute qualifiche e attribuzioni proprie dei pubblici ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria, che svolgono temporaneamente con natura ausiliaria.
      In funzione di questo accresciuto livello giuridico e professionale agli «agenti di sicurezza» è consentito di svolgere anche servizi di protezione e scorta di persone.
      Si tratta di una novità di notevole portata, che regolarizza una situazione di fatto esistente nel nostro Paese, ma legalmente non riconosciuta. Sarà possibile, in virtù di questa innovazione giuridica, impiegare in futuro «agenti di sicurezza» nei servizi di scorta, alleggerendo in misura consistente i compiti che ora gravano sulle Forze di polizia, le quali potranno così dedicare più risorse ad azioni di contrasto del crimine di maggiore complessità.
      Nel medesimo capo III trovano regolamentazione le attività di consulenza anticrimine e quelle di fornitura, installazione e manutenzione di apparati, impianti o sistemi anticrimine.
      Tali attività oggi sono svolte in assenza di ogni regolamentazione, talché a chiunque è consentito di progettare, commercializzare o installare impianti di sicurezza in assenza del benché minimo controllo.
      Da notare che, in assenza di tale regolamentazione, lodevoli enti privati hanno stabilito norme per garantire la qualità di professionisti, di materiali e di apparecchiature. Sennonché tali norme, non avendo alcun carattere di obbligatorietà, sono lasciate alla libera accettazione dei committenti, i quali spesso, per fini
 

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economici, preferiscono ignorarle rivolgendosi a fornitori privi di ogni qualificazione in materia.
      Nel capo I, recante disposizioni di carattere generale, oltre alla definizione di ciò che si deve intendere per «attività di sicurezza privata», è prevista l'istituzione presso il Ministero dell'interno di una commissione permanente per la prevenzione dei crimini e per la sicurezza privata.
      A tale commissione è demandato il compito di vigilare sull'attuazione della legge in via generale e di elaborare proposte tecniche migliorative nel campo della sicurezza affidata ai privati.
      I compiti di vigilanza sui singoli soggetti vengono affidati agli «uffici sicurezza privata» da istituire presso ciascuna questura e destinati ad assorbire attività oggi di competenza della polizia amministrativa.
      Nel medesimo capo I è prevista l'istituzione degli «osservatori regionali sulla sicurezza». Questi organismi hanno lo scopo di ricomprendere e uniformare tutte le iniziative che in questo specifico settore numerose regioni hanno da tempo avviato in assenza di ogni regola, rendendo di fatto non comparabili i dati dalle stesse raccolti.
      Vi è da ritenere che la convergenza di tali osservatori verso modelli uniformi possa notevolmente contribuire a creare una mappatura del crimine ben più dettagliata di quanto oggi non sia disponibile a livello centrale, fornendo alle Forze di polizia un nuovo importante strumento per la loro attività.
      In definitiva, onorevoli colleghi, ci troviamo davanti a un vero e proprio testo unico sulla sicurezza privata, il cui fine non è solo quello di aggiornare norme ormai obsolete, ma anche quello più ambizioso e impegnativo di introdurre nuove efficaci misure per la lotta al crimine, il tutto con lo scopo dichiarato di migliorare le condizioni di sicurezza dei nostri concittadini.

 

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